Orlando è figlio unico

figlio unico Orlando è figlio unico. Tutto dentro la strana relazione madre padre alle prime armi e un bambino senza termini di paragone. Ieri gli è esploso un brutto raffreddore, che probabilmente incubava da qualche giorno. Per questo era stanco, strano, più timido del solito, meno intraprendente, un po’ rallentato. A volte mi dimentico della sua età, ci passo sopra. D’altronde per tutti noi è la prima volta, per me, per lui e per il padre. Qui nessuno sa cosa vuol dire avere due anni e mezzo. Nonostante io cerchi di lasciar andare le cose liberamente e senza ansie, sotto sotto credo di essere esigente. Così lo sollecito a fare cose che mi sembrano semplici. Penso che non ci voglia poi molto e qualche volta glielo dico. Ma dai Orlando, ce la puoi fare, non è difficile. Lui si difende e risponde “io bravo no”. Apparentemente non se la prende. Speriamo. Il giorno precedente al raffreddore, mentre incubava il virus senza avere sintomi, ero al parco con lui e pensavo “non è possibile”. Mi sembrava eccessivo, forse addirittura preoccupante, quel suo imbambolarsi, osservare, restare un po’ in disparte e assorbire l’esterno come una spugna. Va bene la timidezza, ma gli altri bambini sono tutti più intraprendenti. Tutti reagiscono di più. Il giorno dopo è arrivato il raffreddore e io mi sono sentita in colpa. Orlando stava male e io stavo lì a misurare il suo grado di socievolezza e le sue capacità reattive al mondo. Questo episodio mi ha fatto pensare. Un suo eventuale fratello minore avrebbe un altro destino. Io avrei meno aspettative, lo considererei sempre un po’ piccolo, gli perdonerei le lentezze, gli lascerei vivere i suoi tempi, non starei in attesa che mi dimostri le sue qualità, il suo carattere, le sue attitudini, non gli chiederei di non farmi mai venire un dubbio, perché in fondo non sono pronta ad averne, perché se io non sono perfetta, lui sarebbe meglio che lo fosse. È il destino dei primogeniti e dei figli unici. Per tentare di evitare tutto questo – siamo solo sul terreno dei tentativi, ma davvero non intravedo strade più certe – si può provare a tornare piccoli, allinearsi al bambino e liberarsi del sistema di giudizi acquisito negli anni di “esperienza”. Può far bene al proprio figlio e al figlio che tanti anni fa noi siamo stati.

Il bar delle grandi speranze di JR Moehringer. Ovvero come diventare grandi

il_bar_delle_grandi_speranze_jr_moehringer Leggere romanzi americani mi fa respirare. Come se niente fosse scontato e il mondo ancora tutto da fare. In confronto gli attuali Europei sono vecchi, un po’ scontati, decisamente sottotono. Appartenenti a cordate, famiglie, salotti che ne garantiscono lo status, danno l’impressione di essere sempre stati seduti. Insomma sono noiosi, caratteristica non proprio adatta a fare un grande autore. Dopo aver letto Open di Agassi, non potevo perdermi il libro firmato dall’autore che ha aiutato il tennista a scrivere la sua autobiografia: JR Moehringer. Il bar delle grandi speranze. Ovvero il racconto della sua vita. Particolarmente felice la collaborazione tra un uomo che ha subito un padre padrone e un altro la cui figura paterna è stata ridotta a una voce: JR Moehrinnger è stato cresciuto dalla madre, lontano dal padre alcolista e speaker radiofonico. Alcuni passaggi del romanzo parlano del mio rapporto con Orlando, anche se lui un padre ce l’ha. Perché in fondo ogni madre è sola con il figlio, anche se non lo è. E ogni figlio è solo con la madre, anche se non lo è. Non è soltanto questione di tempo, di ore trascorse insieme, che comunque contano nel bilancio delle cose che accadono. Il rapporto madre figlio è forse l’esperienza più grande che si possa fare dell’altro da sé. Almeno per me è così. E se finora l’ho percepita sulla mia persona, le pagine di JR Moehringer hanno ribaltato il mio punto di vista e ho ascoltato quella stessa esperienza raccontata da un figlio. Perché ogni maschio nasce dall’altro da sé per antonomasia, la femmina. E come può un maschio, sotto la grande ombra dell’amore materno, ricavarsi la strada che lo porterà alla separazione e alla costruzione della propria, differente identità? Perché in questo luogo originario, stranamente, non è lei ma lui a fare la differenza, e per una volta nel sistema “l’uno e l’altro” l’altro è il maschio. Ma ogni madre rischia di essere ingombrante per il figlio. Lungo tutto il libro JR è alla ricerca di un padre, alla radio come tra gli uomini del bar. E se il padre biologico è una chimera, un mondo impossibile e incorporeo che materializzandosi si rivela orrendo, quello del bar è un padre corale, un po’ sbilenco, notturno e alcolico, un modello positivo che a un certo punto però va superato, pena il fallimento di sé. Un bel romanzo di formazione, dove resta sempre sottesa la figura della madre, anche quando non viene nominata. Una donna che aiuta il figlio a separarsi, tagliandosi progressivamente via da lui pezzetti di sé fino a lasciarlo libero. Verrebbe da dire che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna dotata di immenso coraggio. Un romanzo da leggere, soprattutto se si è madri di un figlio maschio e unico.